venerdì 24 luglio 2015

Antonio Ligabue, il produttore sinergico

Finalmente posso parlare del mio produttore preferito, Fausto Ligabue, dell'azienda Antonio Ligabue!

Chiariamoci, non ha parentela nè con cantanti nè con pittori, è unico...

Chiara ed io lo abbiamo conosciuto alla Sorgente del Vino a Piacenza e non me lo sono mai tolto dalla mente, perchè è l'unico che io conosca che lavora la vigna in sinergico.

Ci ha portato i suoi vini (Muller e Fumin) di persona, stasera, con un bonus, una magnum di petite Arvine che abbiamo aperto subito.

Colore giallo velato, il vino emanava aromi solo a versarlo nel bicchiere, sintomo di grande potenza olfattiva.  Appena messo al naso la carbonica esprimeva tutta la grande sensazione salina di cui era dotato, figlio del territorio calcareo nelle colline bresciane. Ricco di estratto ma al tempo stesso povero di alcool (11,5 gradi); mandarino, agrumi. Ricordi lontani di mare, come di colatura di alici, come dice lui, è zona di fossili derivati dalle acque che poi si sono ritirate nella preistoria; grande pulizia, nessuna sbavatura, secco e persistente.
Un vino eccellente. Bravo Fausto, ci hai fatto una bella sorpresa!
Assieme alla mia schiacciata con crudo, bufala e melone (particolare pizza del giorno) l'abbinamento non era sbagliato, anzi, il vino veniva valorizzato.

Quando si trova una persona che ha gli stessi interessi la serata vola, infatti abbiamo discusso di riproduzione massale, dell'influenza delle guide, della difficoltà di coltivare in zone impervie (il suo cinghiale bianco non è riuscito a produrlo le ultime annate, essendo troppo alti e ripidi i vigneti a 800 mt rischiava di farsi male!), la bellezza e la sicurezza della strada naturale, insomma, una serata di chiacchere e convivialità.

A presto, Fausto, spero di rincontrarti a casa tua, e ti prometto che divulgherò quello che so sui tuoi valori e sulla importanzaa del nutrirsi in modo sano, perchè no, anche bevendo un buon bicchiere di vino (il tuo magari).

domenica 12 luglio 2015

Degustazione al Giardinetto 10 luglio

Molti sono stati gli eventi che mi hanno impegnato, nel mio piccolo, in questi mesi.
Il blog ha avuto un calo di attenzione da parte mia, ora anche a causa del tornado di forza F4 che ha recentemente colpito le mie terre.

Venerdì comunque abbiamo organizzato una piccola degustazione, per non perdere la pratica, presso il Giardinetto di Mira dagli amici Chiara ed Alberto.

Premetto che il corso con Sangiorgi mi ha cambiato completamente il modo di degustare il vino e non riesco (purtroppo o per fortuna) a degustare vini "convenzionali".
Questo sta diventando sempre più un problema per me in quanto ho modificato la mia passione per ricercare solo i vini che vengono da Sandro considerati "buoni" (cioè 1. DIGERIBILE 2. IMPREVEDIBILE 3. DI TERROIR).

La domanda che mi sto ponendo infatti a questo punto della mia esperienza è: qual'è il limite sensoriale tra i cosiddetti vini convenzionali e i vini biodinamici o anche naturali? Trovandolo probabilmente potremmo capire meglio gli insegnamenti del corso naturale.

Abbiamo allora portato delle bottiglie che potessero confonderci i sensi al punto di poter sbagliarci.

Rigorosamente alla cieca abbiamo ricevuto i campioni a coppie per avere il confronto:

1. Primo campione, paglierino velato, dal colore spento, opaco.
Naso con accenni aromatici, dico accenni in quanto era molto delicato al naso. Poi erbe aromatiche da cucina, salvia e un tenue rosmarino. Fiori bianchi di cesuglio, biancospino e sambuco.
Buona alcolicità considerata la tipologia, infatti sembra poco complesso.
In bocca è sapido e amarognolo, sono i lieviti in sospensione. Dopo qualche secondo emerge una sensazione dolciastra.
Questo l'ho riconosciuto, era uno dei miei vini. Si trattava della malvasia colfondo di Toni Bigai, A MI MANERA.
A dire il vero non ci ha convinto, molto prevedibile e fermo, immobile. Si riconosceva non essere un vino naturale, forse era ingessato da troppa solforosa.
Non sono riuscito in questo caso a trovare il vino al limite tra convenzionale e naturale. Era troppo convenzionale. A 5 euro però ci stava, ad altri che lo hanno degustato è piaciuto.

2. Paglierino carico, consistente.
Note ossidate al naso , come durante un temporale il senso di ozono nell'aria, muschio, zenzero e galak, il cioccolato bianco. Anche poche note fruttate, nel mondo del terziario, generalmente delicato.
In bocca è morbido, poi inizia una bella freschezza, ma non tagliente, e un finale lievemente sapido, ma solo per poco.Grande bevibilità comunque.

Era il vino di Chiara, Meyè-Fonnè, naturale alsaziano. Devo dire che non ricordava un alsaziano, era comunque Pinot bianco, il meno nobile della famiglia dei pinot e allevato in una zona dove sono altri i vitigni maggiori...
Era Bio? Sì, sembrava di sì, cambiava anche dopo poco e dava sempre sensazioni diverse. Annata 2013, avrei detto più vecchio di almeno un anno. (8 euro a bottiglia, ottima Q/P)
Vino non al limite, sicuramente verso il lato dei "buoni"

3. Terzo campione, di un dorato vivissimo, tanto vivo che avrei pensato che fosse filtrato come un convenzionale.
Sentori marini. Cappero, oliva taggiasca e salamoia, poi scorza di arancia candita, note ossidative.
Continuamente modifica la sua linea olfattiva.
In bocca è forte, morbido ma anche fresco. Certo meno bevibile ma sicuramente un vino eccezionale, da gustare lentamente, sorseggiandolo con un bel piatto saporito di pesce. (un pò caro in enoteca 18-20 euro)

Era il mio secondo vino, un alsaziano da Auxerrois (molte affinità con il pinot bianco) e Chardonnay, biodinamico da Zind Humbrecht, che avevo acquistato alle Osterie Moderne mesi fa assieme a Denis. ( e dire il vero il meno convincente di tutta la loro stupenda linea di vini naturali)
Anche qui siamo ben oltre al limite ricercato, era un vino decisamente buono.

4. Paglierino dorato velato, vivo. Leggera effervescenza, flebile consistenza.
Olfatto atipico e fuorviante, quasi fuori scala, intendo dire che dava sentori non riconducibili ad un vino con quel colore.
Medicinale, antibiotici, lacca per capelli e schiuma da barba, note come di legno appena tagliato, poi svanite molto velocemente, patatine al formaggio. Leggero accenno di fruttato e nessuna nota verde.
Alla domanda E' Bio ? Tutti hanno risposto sicuramente di sì, poi in bocca però era corto al punto da deludere. (10 euro, questo NON ha un buon Q/P, va tenuto conto che fanno pochissime bottiglie però)
Si trattava dell'H bianco del Castello di Lispida, TRIPLE A.
Qui ci sono riuscito a raggiungere il mio intento, questo è un vino SUPER naturale, che però ha deluso tutti, ma non al naso...

Esistono quindi vini buoni (che rispondono cioè alle tre caratteristiche) che deludono, come abbiamo dimostrato, ma anche vini convenzionali che non deludono. Li sto ancora cercando, ma ho già delle idee per i prossimi tentativi.   Vorrei anche dimostrare che non sono vini così introvabili e soprattutto che non costano così tanto. Durante il corso di Sandro ne abbiamo degustati alcuni.

Preciso comunque che non è necessario che un vino sia Bio per essere buono, ma il fatto che abbia fatto una fermentazione spontanea, che abbia il giusto terroir, che non abbia ricevuto lieviti selezionati e che sia un vitigno (meglio autoctono) piantato nella giusta posizione, rende tutto più vicino all'idea di vino che ho capito essere l'unico interessante.